Sardara

326/377: Sardara

ISPIRAZIONE

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Pietra arenaria della facciata della chiesa della Beata Vergine Assunta

Lascio Collinas e, dopo un breve tragitto sinuoso tra campi coltivati e colline che iniziano a rinverdire dopo la torrida estate, arrivo a Sardara, borgo autentico italiano, bandiera arancione del Touring Club Italiano e città della terra cruda.

Qui mi stanno aspettando il Sindaco Roberto, gli assessori Ilenia e Andrea, e Agostino, che mi guideranno attraverso il “paese delle acque”, storicamente importante per essere stato un crocevia al confine di diverse zone geografiche, baluardo meridionale del Giudicato di Arborea.

Quando iniziamo la passeggiata mi viene descritta la geografia del centro di Sardara, diviso in due parti, quella antica, il primo insediamento già dall’epoca nuragica, e quella medioevale, che si sviluppò successivamente, e si ampliò grazie all’opera di tre importanti famiglie nobili, i Serpi, i Diana, e gli Orrù.

Le ultime due, storicamente in guerra, si riappacificarono grazie al matrimonio tra due membri. La via Umberto I venne creata quando i discendenti di questo matrimonio fecero sventrare il paese per far sì che la strada davanti alla loro dimora fosse abbastanza larga da consentire il passaggio della santa!

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Villa Diana

Superiamo l’elegante Villa Diana, in stile liberty, poi un murale molto vecchio, a sfondo politico, di Antioco Cotza. Passiamo accanto a molti antichi portali e pozzi urbani. Mi dicono che molti pozzi si trovano anche dentro le case.

Risaliamo fino alla chiesa della Beata Vergine Assunta, con la facciata degli anni Cinquanta costruita dai bravi muratori locali, i “piccaparderi”, con la classica pietra striata. All’interno si trova il bellissimo organo del 1758 costruito da Thomas De Martino.

E finalmente arriviamo nel cuore della zona antica del paese. Nella Casa Pilloni, un’antica dimora padronale acquisita dal Comune, si trova un centro servizi polivalente a ridosso dell’area archeologica di Sant’Anastasia. All’esterno dell’omonima chiesetta bizantina si trovano i resti di un villaggio nuragico, dove vennero ritrovati importanti resti tra cui vari bronzetti, e il tempio a pozzo, all’interno del quale scorre ancora l’acqua.

Una pompa elettrica mantiene il pozzo asciutto e visitabile, che viene disattivata in occasione della mia visita all’interno per permettermi di suonare l’ukulele, mentre il piccolo pubblico istituzionale mi guarda dall’alto!

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Tempio a pozzo nuragico di Sant’Anastasia

L’area è unica, inserita in mezzo alle case attuali, moderna prosecuzione del villaggio nuragico. Questo era un importante centro che congiungeva le località costiere con quelle dell’interno. Si intravedono i resti di più pozzi e più templi, almeno quattro. Si dice che qui passasse un fiume sacro e che particolari erbe curative crescessero sulle sue sponde.

Di fronte all’area archeologica, all’imbocco di un vicoletto in “impedrau” chiamato Gutturu Funtanedda, nel mezzo della strada si trova un altro pozzo di età nuragica. Da millenni le acque provenienti dalle colline retrostanti il paese lo attraversano sopra e sotto.

Proseguiamo la passeggiata, ammirando i bellissimi portali con archi in pietra vulcanica scolpiti da Ziu Bicchiccu. I muri, oltre a essere in pietra, sono anche in mattoni in terra cruda, il “ladiri”, la cui presenza è attestata da tempi antichissimi.

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Ricostruzione di sepoltura al Museo Archeologico Villa Abbas

Dopo aver passato la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio da Padova, con la facciata barocca a due campanili, e il mercato, costruito su un ex convento di frati gesuiti, arriviamo al museo archeologico Villa Abbas. Qui posso ammirare tutta una serie di reperti archeologici provenienti dai siti nuragici, dalla necropoli di Terr’e Cresia, alcune delle cui sepolture sono ben ricostruite all’interno del museo, e i reperti di età medioevale provenienti dal castello di Monreale.

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La Piazza Lussu, ingresso della zona medioevale

Come se quest’ultimo ci avesse richiamati a se, usciti dal museo entriamo nella zona medioevale di Sardara, dalla piazza Emilio Lussu, dove troneggia la statua del politico di Armungia, e arricchita da sculture di Pinuccio Sciola che rappresentano la storia dell’umanità.

Passando tra palazzine storiche concludiamo la mattinata alla suggestiva chiesa gotico-romanica di San Gregorio, la parrocchiale della Sardara medioevale, che sfoggia un bellissimo rosone sopra l’ingresso.

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Chiesa gotico-romanica di San Gregorio

Dopo un succulento pranzo in ristorante con Ilenia e Agostino, prendiamo la macchina per visitare i dintorni. Prima di tutto un giro dalla strada panoramica che corre sulla collina retrostante il paese, e da cui se ne ammirano i tetti, sorprendentemente quasi tutti con tegole rosse. Da qui ammiriamo la pianura del Campidano, fino al suo bordo occidentale con Villacidro, Gonnosfanadiga e Guspini sullo sfondo. Ma soprattutto puntiamo alla collina di Monreale dove ci dirigiamo.

Superato quel fastidioso ostacolo al mio viaggio lento che è la SS131, ci avviciniamo all’area dove un tempo si trovava la miniera di fluorite, dismessa nel 1980, e arriviamo alla frazione di Santa Maria de Is Acuas, così chiamata per la presenza dell’omonima chiesetta che sorge su una necropoli romana, e probabilmente già luogo di sepoltura nuragico.

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Struttura delle antiche terme romane

È qui che oggi sorgono i moderni centri termali che sfruttano le stesse acque utilizzate fin dai tempi degli antichi romani. Le antiche terme romane Aquae Neapolitanae vennero inglobate in un edificio di stile neoclassico progettato da Gaetano Cima all’interno del quale, all’inizio del Novecento, vennero poi create delle nuove vasche.

Passeggiando nell’area ci imbattiamo nei resti di vecchie fornaci, arriviamo a un anfiteatro moderno e osservando le alture circostanti Ilenia e Agostino mi assicurano che ognuna di esse possiede i resti di un nuraghe.

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Castello di Monreale

Ma la sera incalza e ci rimane l’ultima visita, quella più suggestiva, al castello di Monreale, che avrò visto da lontano centinaia di volte guidando sulla SS131 e che oggi finalmente posso raggiungere. Guidiamo su per la collina finché possibile, poi ci inoltriamo a piedi in una strada bianca che conduce alla base delle possenti mura.

Tutt’intorno i resti del villaggio, delle mura di cinta e delle torri di difesa. E poco più in basso i resti della chiesetta di Santu Miali e del villaggio di San Michele. Cerco solo di immaginare il traffico di genti e merci qui in epoca giudicale. Ma ora c’è silenzio, il vento cala e il sole si abbassa a occidente. La vista spazia tutt’intorno, sono al centro del Campidano. Non posso non guardare a sud, verso Cagliari, dove la fine di questo viaggio mi aspetta presto.

 

FRAMMENTI SONORI

Live at Sant’Anastasia

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BREVI NOVELLE SARDE

Sarebbero tante le storie da raccontare su Sardara, come quella della preservazione del centro storico, grazie alle norme degli anni Ottanta che vietarono l’eternit, e ai contributi per il rifacimento dei tetti delle case.

E poi la storia di Benvenuto Pinna detto fra Lorenzo da Sardara, o quella della statua della Madonna che gli antichi abitanti di Villa Abbas, per sfuggire alle invasioni barbaresche, nascosero nelle terme romane, da cui poi il nome di Santa Maria de is Acuas.

Poi ci sono le storie delle famiglie nobili del paese, intrecciate, cosparse di intrighi, tra lotte di potere e feroci guerre. E poi la storia del castello di Monreale ultima dimora di Eleonora d’Arborea.

Poi c’è l’intrigante leggenda della “musca maccedda” che ho già sentito in altri paesi, ma che qui mi colpisce maggiormente. La leggenda vuole che sotto l’altare di una chiesa si trovi sepolto un tesoro, custodito però dalla “mosca macellaia” pronta ad avvelenare chi apra la cassa contenente il tesoro.

Spesso le scatole sono due, una contenente il tesoro, l’altra la mosca, nel qual caso l’ardito Indiana Jones del momento avrebbe qualche possibilità di salvarsi nel scegliere la cassa giusta. Anche qui a Sardara si narra questa leggenda, ma qui il tesoro, sotto l’altare della chiesa di Santa Maria de is Acuas e mai aperto, consisterebbe in erbe medicinali e non monete d’oro o gioielli.

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La “folla de ucàia”, la Salvia desoleana.

“Bentornata a casa!” è il titolo di un pannello esplicativo curato da Ilenia e Agostino al centro servizi dell’area archeologica di Sant’Anastasia che ci spiega l’importanza delle erbe medicinali nelle comunità del passato, e racconta una bellissima storia riguardante una specifica erba, la “folla de ucàia” che veniva usata per curare le ferite e le piaghe.

Quest’erba e tante altre crescevano spontaneamente nell’area circostante la chiesa di Sant’Anastasia. Durante il rito del venerdì santo, “su scravamentu”, le ferite del corpo del Cristo morto deposto dalla croce venivano cosparse della “folla de ucàia”.

Purtroppo negli anni Ottanta con l’uso dei diserbanti e sostanze chimiche queste erbe medicinali scomparvero dal centro abitato. La “folla de ucàia”, che si scoprì essere un endemismo sardo, la Salvia desoleana, sembrava ormai presente solo in alcune zone della Sardegna centro-settentrionale.

Ma nel 2017 i miei accompagnatori Ilenia e Agostino si imbattono in un cespuglio di quest’erba nel giardino della casa di Rafaele Pisu, scomparso di recente, che soffriva di piaghe alle mani e al quale fu donata questa pianta medicinale dal Monsignor Atzori. Rafaele la custodì e, non sapendolo, la preservò dall’estinzione. Oggi, grazie alla concessione degli eredi di Rafaele e all’amministrazione comunale, la “folla de ucàia” è stata messa a dimora nel cortile di Casa Pilloni…bentornata a casa!