327/377: Villanovaforru
ISPIRAZIONE
Nel mio zigzagare ormai stanco, attraverso l’ultima parte di questo viaggio e mi allontano ancora una volta dal Campidano per rientrare verso la Bassa Marmilla, pedalando lungo una costante salita sulle colline che dividono le due zone.
Entrato a Villanovaforru riconosco subito una casa un tempo appartenuta a un amico di famiglia, nella quale trascorsi tante giornate da bambino. Incredibile come la memoria visiva si sia riattivata nel riconoscere la casa, all’interno della quale il cortile, nel quale ho vaghi ricordi dell’uccisione del maiale, con un via vai di persone e un chiasso assordante, venne poi adibito a piscina!
Arrivato in Municipio mi accoglie il sindaco Maurizio che mi dedica la mattinata, conducendomi al sito archeologico di Pinn’e Maiolu, di epoca nuragica. Qui sono in corso degli scavi e ne approfittiamo per fare una chiacchierata con Giacomo, l’archeologo responsabile e direttore del museo archeologico.
Mentre degli operai portano via carriole di terra, Giacomo ci illustra gli scavi, che hanno portato in luce varie strutture nuragiche, che sembrano arrivare fino alle case al bordo del paese, infilandovisi sotto. C’è ancora tanto lavoro da fare, il sito è stato riscoperto qualche decennio fa e i lavori sono stati pochi e lenti.
Rientrati in centro Giacomo mi guida attraverso il bel museo archeologico Genna Maria, situato in una bella palazzina nella piazza Costituzione, dove si affacciano anche la chiesa parrocchiale di San Francesco e il Municipio. Il museo non solo conserva i reperti provenienti dall’importante sito di Genna Maria, poco fuori paese, ma anche quelli dei comuni limitrofi, assurgendo a vero e proprio museo territoriale.
Dopo un ottimo pranzo al ristorante Funtana Noa, gentilmente offerto dalla Pro Loco e dall’Associazione Turismo in Marmilla, trascorro il pomeriggio con l’assessora Eliana.
La prima visita è alla chiesetta campestre di Santa Marina, del 1300, anche se un’iscrizione sulla pietra fornirebbe la data del 1100. La santa è spagnola, unica in Sardegna, ed è sentita dalla comunità più del patrono San Francesco.
Da qui ci rechiamo dapprima al boschetto di Acqua Frida, dove posso ammirare l’acqua cristallina che scorre dall’omonima fontana dentro vecchie vasche di pietra, i “laccus”, poi finalmente al villaggio nuragico di Genna Maria dove ci sta aspettando Vilma per una visita guidata.
Il sito, il cui nome originale era Genn’e Mari, la porta del mare, è costituito dai bassi resti di un nuraghe centrale circondato dalle capanne di un villaggio che venne abitato solo per un centinaio di anni, quando un terribile incendio lo distrusse completamente. Quest’evento tuttavia permise che moltissimi reperti si conservassero perfettamente sotto le ceneri. Il sito venne poi ripopolato in epoca punica e romana.
Passeggiando nel perimetro esterno posso ammirare i “mensoloni” che un tempo sorreggevano il tetto delle torri del nuraghe, ben ordinati in fila, e in parte riposizionati per mostrare la loro funzione di reggere il “ballatoio” esterno.
Rientrati in paese Eliana mi introduce ad alcune espressioni artistiche di Villanovaforru. Passeggiamo lungo una strada, dove i muri sono stati ricoperti di murales da artisti locali, che hanno rappresentato, in vari stili, numerosi episodi della storia di Pinocchio.
Visitiamo la Funtana Manna, un tempo lavatoio del paese, oggi un monumento con due fontane ottocentesche su una scalinata, che sembrano una sorta di altare. Sulle vie del paese si affacciano tante case con antichi portali in pietra e muri di chiara arenaria marnosa tipica della zona.
Andiamo poi a trovare Cesare Cabiddu, artista del legno con il marchio Inwood. Nel suo laboratorio mi vengono mostrati tutta una serie di lavori in legno, dagli oggetti ai pannelli, sia completamente in legno, sia realizzati con altro materiale, quasi sempre trovato in spiaggia, come tronchetti levigati di ginepro o i tipici galleggianti forati delle reti dei pescatori.
L’ultima tappa è la visita al laboratorio di restauro archeologico, che si trova in una struttura comunale dove alloggerò stanotte. Qui, in una serie di stanze, si trovano numerosissime scaffalature con un’immensità di scatole, numerate e catalogate, che contengono reperti archeologici provenienti da tutto il territorio. Mi diverto a leggere le etichette per cercare i siti che ho già visitato e quelli che dovrò ancora conoscere.
Oltre alle sale dei reperti visitiamo i laboratori veri e propri, dove i team di archeologi si occupano del restauro dei reperti. All’interno della struttura vi sono anche numerose opere di artisti che hanno lasciato i loro lavori commissionati per mostre temporanee, poi disseminati tra laboratorio, Municipio e museo.
A Villanovaforru l’arte si immerge nell’archeologia. Per saperne di più su questo paese c’è anche il blog Su Biddanoesu, curato da Franco Farris e Sergio Vacca.
FRAMMENTI SONORI
BREVI NOVELLE SARDE
Archeomeet è un incontro-dibattito pubblico che si svolge a Villanovaforru tra studiosi di archeologia e comunità locali, al fine di creare un dialogo tra addetti ai lavori e cittadini, inerente diversi temi dell’archeologia sarda.
Nella pubblicazione dell’edizione del 2018, donatami in occasione della mia visita, e curata dallo stesso sindaco Maurizio Onnis e dall’archeologo Giacomo Paglietti che mi hanno guidato oggi, vengono riportati, trascritti, rivisti e integrati i quattro interventi dell’incontro.
L’interessante introduzione, intitolata Verso un “Archeopensiero”, ci mette davanti a un problema nella divulgazione della materia archeologica, fatto di cui io in questo viaggio mi sono potuto rendere conto. Con il crescere dell’interesse verso l’archeologia, soprattutto quella preistorica e protostorica, da parte di quella che viene chiamata “archeo-community”, insegnanti, impiegati, operai, professionisti, artigiani affamati di conoscere la storia antica della Sardegna, l’informazione è principalmente mediata da strutture associative oppure da chi si muove in maniera autonoma con la lettura di testi scientifici o pubblicazioni dal linguaggio più ordinario e accessibile.
Purtroppo molti autori di ricerche, mossi anche da interessi personali, si ergono a detentori di verità o rivelatori di scoperte sensazionali, altri propongono nuove e rivoluzionarie ipotesi, non supportate da dati scientifici, mentre gli studiosi continuano a pubblicare lavori poco accessibili dal punto di vista della divulgazione alle comunità.
E con il fiorire dei social media e della condivisione su di essi di dati e teorie archeologiche, questa “archeo-community” non fa che trasformare i dibattiti in discussioni che spesso sfociano in questioni personali e poco civili.
Chi ne paga le conseguenze è la Sardegna stessa, il cui patrimonio archeologico dovrebbe invece riportare l’isola all’attenzione degli studiosi e dei media italiani e internazionali, dimostrando che “quella sarda di oggi è una nazione evoluta che non ha più niente da temere, che colleziona primati da sostituire alle vecchie etichette e che prepotentemente vuole il giusto riconoscimento nei libri di storia, arte, architettura”.