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119/377: Gairo

ISPIRAZIONE

Parto dall’Hotel Scala di San Giorgio col cane Kira (adottato dai gestori) alle calcagna per qualche chilometro. Pedalo tra i lecci e i calcari, e dopo una brutta salita arrivo finalmente alla Scala di San Giorgio, spaccatura tra i calcari in cui passa la strada. Da qui in poi la discesa fino a Osini è da sentirsi male, tornanti ripidissimi. Una volta a Osini, volo in discesa, costeggiano Osini Vecchio, fino al ponte sul fiume Pardu, e da qui è di nuovo tutta salita, quella che in questi giorni vedevo dall’altra parte della vallata e che temevo. Passo in mezzo a Gairo Vecchio, dove più tardi mi porteranno, e poco dopo entro a Gairo Sant’Elena, com’è chiamato il nuovo abitato.

Qui mi riceve il vice Sindaco Sergio, e mi mette nelle mani di Gianni e Danilo, che mi porteranno in giro per il territorio, uno dei più complicati che finora abbia incontrato. Gairo Vecchio venne abbandonato dopo le alluvioni del 1951 che lo distrussero, come Osini Vecchio, e gli abitanti si spostarono nell’attuale Gairo Sant’Elena. Dall’altra parte della valle poi, a una decina di chilometri, esiste la frazione di Gairo Taquisara (italianizzazione di Taccu Isara), edificata da Mussolini e chiamata prima Gairo Littorio, o Gairo Scalo per la presenza della stazione ferroviaria. Sulla costa, sull’altro versante del Monte Ferru che lo separa da Tertenia, si trova la Marina di Gairo, con le spiaggie di Su Sirboni e Coccorrocci.

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In macchina attraversiamo tutto il versante scistoso della valle del Rio Pardu, molto franoso anche per la presenza di strati argillosi, e poi un’area di rimboschimento a pini, che in passato provvedeva legname per la produzione di cellulosa alla cartiera di Arbatax. Da qui si vede l’osservatorio astronomico Ferdinando Cliumi sulla cima della montagna. Proseguiamo in direzione Perda Liana, il tacco calcareo più caratteristico di tutta la zona, visibile da tutti i territori circostanti. come una torre. Mi dicono che il suo nome sarebbe stato Perd’e Iliana, dal nome degli abitanti originari di queste zone, gli Iliensi.

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Una volta parcheggiata la macchina, percorriamo un sentiero in mezzo agli scisti. Man mano che ci avviciniamo, Perda Liana diventa sempre più imponente e sul terreno iniziano a trovarsi frammenti e massi di calcare crollati dalla sommità. Percorriamo il sentiero che gli corre intorno e poi ci arrampichiamo su un versante per arrivare proprio alla base del mastodontico tacco. Siamo a quasi 1300 metri di quota, e nonostante il freschetto la giornata è decisamente primaverile. La vista intorno è spettacolare, fino ai monti del Gennargentu con qualche residuo di neve. Rovistiamo tra le pietre calcaree mesozoiche alla ricerca di qualche fossile, e ne troviamo qualcuno, bivalvi e gasteropodi frammentati.

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Una volta ridiscesi alla macchina ci dirigiamo verso la località Is Tostoinus, dove Matteo ci aspetta nel bosco di lecci, dove ha avviato un barbecue per il pranzo. Mangiamo su un tavolo in pietra accanto ad un classico pinnetto. Gli affettati prodotti da Danilo a Villagrande, sono eccezionali, così come la carne di manzo arrosto, e anche il vino rosso è ottimo, sempre prodotto da Danilo. Dopo pranzo passeggiamo lungo le sponde di un laghetto naturale dove viveva una colonia di tartarughe greche portate qui dai Romani, da cui prende il nome questa località. Poco distante da qui si trova un villaggio nuragico sepolto. I resti di capanne sono ricoperti di muschio e vegetazione, ma si può intuire la grandezza enorme del villaggio, che include il resto di nuraghe.

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L’ultima tappa di questa sera è la visita a Gairo Vecchio. Camminare tra le rovine del nucleo originale del paese è un po’ come camminare tra le rovine di Pompei. Uno si immagina come doveva essere la vita qui, e mentalmente si ricostruiscono le parti mancanti, la popolazione e le scene di vita quotidiana. Le dimensioni del paese erano notevoli. Palazzine anche a tre piani, molte crollate, molte parzialmente intere. Entriamo tra le viuzze passando da una scalinata in un bel granito, e troviamo qualche angolo molto suggestivo, incluso quello che doveva essere il vecchio mulino, con ancora le macine buttate dentro. Su qualche parete delle case sono rimasti i vecchi forni. Molti balconcini in ferro battuto. Gianni ci indica quella che era la casa dei suoi nonni, dove nacque suo padre. Rimane qui la chiesa dello Spirito Santo, che è stata ristrutturata. Purtroppo tutto il terreno, per la presenza di strati di argilla e molte sorgenti d’acqua, è in continuo e lentissimo movimento verso il fondovalle, rendendo impossibile il pensare di valorizzare questo luogo fantasma.

Dopo una pizza tutti insieme, io, il vice sindaco Sergio, Gianni e Matteo (Danilo è rientrato al suo paese, Villagrande Strisaili dove sarò dopodomani), mi ritiro al bnb Gairu Nou di Marisa, che mi accoglie e mi dà ospitalità gratuita. Lavoro per un po’ prima di crollare dal sonno.

 

FRAMMENTI SONORI

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BREVI NOVELLE SARDE

Mentre rientriamo da Gairo Taquisara, e vedo la tremenda salita che dovrò fare domani, Gianni mi mostra una rupe rocciosa al di là del Rio Pardu, Sa Babbaiecca (da ‘babbai’, babbo), e mi racconta la sua leggenda. Si dice che un tempo i Gairesi portassero qui i loro padri ormai vecchi e li buttassero dal dirupo per porre fine alla loro vita.

L’usanza venne poi interrotta grazie alle vicende di un figlio speciale. Una volta portato il vecchio padre sul dirupo non ebbe il coraggio di buttarlo giù, dunque se lo riportò in paese, ma lo nascose dalla popolazione che non avrebbe accettato questa decisione.

Quell’anno ci fu grande siccità e non c’erano più semi da seminare. Il vecchio padre rivelò al figlio il granaio dove ancora si trovavano un po’ di semi e il figlio fu l’unico a seminare. L’annata successiva i Gairesi morivano di fame e il giovane allora rivelò che proprio graze al padre lui era riuscito a coltivare l’anno precedente. Da quel momento si capì l’importanza degli anziani e della loro saggezza e conoscenza, e si decise di porre fine alla triste tradizione.