Gadoni

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ISPIRAZIONE

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I boschi attorno a Gadoni

Affacciato alla ringhiera di fronte alla parrocchiale di Aritzo contemplo la vallata, pensando al fatto che all’inizio del mio viaggio son passato vicinissimo a queste montagne. Dall’altra parte dei monti c’è Tonara, giornata 14 del mio viaggio. Sono talmente immerso nei miei ricordi che, non appena aziono la Go Pro e vado in diretta, annuncio la mia partenza da Tonara! Chiedo scusa agli aritzesi!

Dopo una decina di chilometri tra i boschi e un po’ di salita arrivo a Gadoni dove mi stanno aspettando Elisabetta col piccolo Marcellino. Facciamo un salto in comune per salutare il sindaco Francesco e lasciare la bici, e iniziamo una bella passeggiata per le strade del paese.

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Campanile della chesa parrocchiale della Vergine Assunta

Prima tappa è la chiesa parrocchiale della Vergine Assunta. Elisabetta mi racconta che l’altare originale aveva dei tripli pannelli lignei che furono inviati a Firenze per un restauro, ma non rientrarono mai! Dunque venne sostituito con un altare ligneo proveniente dalla chiesa del convento. Ai lati dell’altare si trovano dei quadri del pittore Tebaldo Nascimbene.

Ci inoltriamo nel centro storico. Tra queste strade si svolge Prendas de jerru, la manifestazione per Autunno in Barbagia che mette in mostra tradizioni, musica e gastronomia. La notte del primo novembre, per scacciare gli spiriti, si accendono dei fasci di asfodeli secchi, che vengono portati in giro a mano cercando di non farli spegnere: è il rito di Is Fraccheras.

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Ceramica muraria rappresentante il rito di Is Fraccheras

Arriviamo alla chiesa di Santa Marta, moderna, degli anni Ottanta, passiamo alcune case nobili, la cosiddetta “Casa de su cavalleri” e arriviamo al cortile del salone parrocchiale dove un tempo si trovava il convento. Questo venne abbattuto negli anni Sessanta, ma a ricordo gli scout scavarono una nicchia dove si trova un crocefisso e una statua della Madonna.

Rientrati sulla strada principale ci rechiamo alla casa del pittore Tebaldo Nascimbene, originario di Treviglio che qui visse e operò. Entriamo nella casa in stile alpino, ormai abbandonata, e saliamo ai piani alti. Dalle finestre la vista sulla verde vallata è incredibile, che ispirazione doveva essere per il pittore!

Il pranzo è a casa di Armando e Francesca, che hanno preparato di tutto, incluso un ottimo maialetto con patate!

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Il ponte sul Flumendosa

Con la pancia piena ci mettiamo in macchina per visitare questo incredibile territorio, circondato da calcari mesozoici che delimitano la Barbagia, un confine naturale che difendeva le antiche popolazioni dai Romani. Ci inerpichiamo per una vallata boscosa dalla quale possiamo ammirare il ponte sul Flumendosa, dove prima d’essere messo in sicurezza con barriere laterali veniva praticato il ’bunjee jumping’. Ci passerò sopra domani in bicicletta sulla via per Seulo.

Arriviamo all’area attrezzata Bauzzoni. Qui intorno si trovano svariate fornaci dove si produceva calce dalla combustione dei circostanti calcari. Sulla sommità del “tacco” ci addentriamo a Is Breccas, un fitto bosco di querce da cui emergono qua e là spuntoni di roccia calcarea e, mentre inizia a piovere a dirotto, arriviamo alla Foresta Corongia. Tra i calcari i pastori hanno costruito i loro rifugi per animali, chiamati accili e cuili.

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I tacchi sulla valle del Flumendosa

La pioggia si è fatta sempre più forte, ma Armando vuole assolutamente portarmi a vedere il monumento naturale di Su Campanili. Mentre Francesca e la piccola Noemi restano in macchina, con Armando sfidiamo la pioggia e i fulmini, e ci inoltriamo nel bosco. Dopo poco cammino raggiungiamo il bordo del “tacco”. Di fronte a me si stagliano bordi calcarei e boschi.

Armando sale su uno spuntone di roccia e mi invita ad avvicinarmi a lui “vieni che da qui si vede Su Campanili”. Ma vedendo centinaia di metri di strapiombo e il nulla di fronte, non riesco a salire sullo spuntone, le vertigini hanno preso il sopravvento, facendomi ancora una volta perdere un importante elemento paesaggistico, un pilastro di calcare isolato che giustamente è stato chiamato “il campanile”.

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Mineralizzazione alle miniere di Funtana Raminosa

L’ultima tappa di questa lunga giornata è alla miniera di Funtana Raminosa. La guida Franco mi accompagna con Gabriella, una ragazza brasiliana che è venuta qui a cercare la connessione col suo cognome Gadoni, per più di due ore in questo sito spettacolare, incastonato nella profonda e verde vallata del Rio Saraxinus. Pare che qui si estraesse il rame con cui i nuragici producevano i bronzetti, che fu poi tanto ambito dai Romani.

Da qui si estraevano piombo, zinco e rame. Franco ci accompagna attraverso gli impianti di trattamento, dell’inizio del Novecento, e in una zona ancora più antica con antichi macchinari restaurati. Usciti dai capannoni camminiamo in un percorso che attraversa il vecchio villaggio dove si trovava anche la chiesa e un cinema.

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Il “piano inclinato” alle miniere di Funtana Raminosa

Arriviamo al “piano inclinato”, dove il materiale veniva portato dai vari livelli di scavo tramite dei carrelli che risalivano un binario lungo il fianco della vallata. E finalmente Franco ci porta dentro una galleria, scavata sin dai tempi dei Romani. Mineralizzazioni di varia natura risplendono davanti ai nostri occhi e, dopo un percorso affascinante, raggiungiamo l’uscita, e ci affacciamo ad ammirare le nuvole che si stanno diradando tra le cime dei monti.

Rientrato in paese mi aspetta una succulenta cena a base di trote di fiume a casa di Caterina e Palmerio. Che giornata!

 

FRAMMENTI SONORI

Funtana Raminosa

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BREVI NOVELLE SARDE

Oggi dormo in quella che era la casa dei nonni di Elisabetta. Mentre passeggiamo per le vie del paese, Elisabetta mi racconta che i nonni, Assunta e Peppino, abitavano prima nel nucleo abitativo della miniera chiamato Perdas Orrubias, dove vivevano le famiglie dei minatori.

Assunta raccontava sempre che Il giorno prima della famosa nevicata del ’56 c’era un insolito caldo per essere febbraio. Si recò prima a Sa Cantina, la bottega della miniera, per fare la spesa, e poi ai forni comuni, a disposizione di tutte le famiglie, per fare il pane.

La sera, sarà per il caldo insolito e per quello accumulato al forno, Assunta prese la febbre. Peppino propose di chiamare il medico, ma lei disse che non ce n’era bisogno, al massimo l’avrebbero chiamato la mattina seguente. Quella notte non si preoccuparono neppure di portar fuori il tronco che bruciava nel camino (che comunque veniva regolarmente rubato dai poveri, durante la notte).

Al risveglio sembrava non esserci luce, sembrava ancora notte. Peppino aprì la porta e una valanga di neve, che aveva ricoperto la casa, si riversò dentro. Una volta scavato un passaggio, Peppino si preoccupò per i genitori, che vivevano in delle grotte a ridosso degli orti, costruì dei bastoni chiodati per camminare sulla neve testando che sotto ci fosse la strada, tanto non si vedeva null’altro che bianco.

Esistono foto di quella storica nevicata, dove si vedono anche i pacchi di provviste che vennero paracadutate alle popolazioni dei paesi della zona, e si dice che quell’anno ci fu un’impennata di nascite, ben sessanta bambini, e la ragione che ancora si dà, in maniera maliziosa, è “eh…la nevicata del ’56…”.


L’inventore della pistola a tamburo si chiamava Francesco Antonio Broccu di Gadoni, ma Colt fu più veloce, e come nel caso del telefono di Meucci, poi brevettato da Bell, la pistola a tamburo venne brevettata da Colt e ne prese il nome. Per maggiori informazioni riguardo questa curiosa storia si può leggere QUESTO interessante articolo tratto da L’Unione Sarda.