78/377: Villaperuccio
ISPIRAZIONE
Parto da casa di Joe con pioggia battente. Imbocco il rettilineo che esce da Santadi, passo la famosa Cantina Sociale, supero la rotonda, e poco dopo sono a Villaperuccio. Joe mi ha seguito in macchina e ci salutiamo davanti al Comune.
Entro e mi accoglie l’assessore Mario. Dopo un caffè e aver lasciato i miei bagagli all’alloggio Da Delfina, Mario mi accompagna subito a Montessu, la famosa necropoll prenuragica incassata tra le montagne retrostanti Villaperuccio. Mi accolgono le guide Bruno e Laura e la cagnolina Selvaggia. La giornata non è il massimo per camminare dunque saliamo in macchina fino agli affioramenti delle Domus de Janas. È un sito impressionante, che si sviluppa principalmente nei due fianchi di una vallata, ma anche tutt’intorno. Bruno e Laura mi spiegano tutte le differenti tipologie di sepolture, alcune che non avevo ancora trovato, come quella a ‘santuario’ o a ‘forno’. I dettagli di alcune sono bellissimi, con simboli, colorazioni ocra, e ornamentazioni varie. Camminiamo per buona parte del sito, dal quale si domina tutta la valle sottostante dove si trovava l’antico centro abitato dal quale gli abitanti portavano i defunti fin quassù.
Viene a riprendermi l’assessore Roberto col quale pranzo e che mi porta in giro tutto il pomeriggio. Prima in paese, dove rimane ancora qualche casa molto vecchia. Mi mostra la nuova chiesa e poco distante un vicoletto con un pozzo, appartenente alla casa di un barone, ormai sparita. Poi poco distante dal centro si trova Sa Perda de Luxia Arrabiosa, un menhir enorme, e Roberto mi racconta una leggenda alternativa a quella che trovo online, della donna gigante Lucia che portava la pietra a Sant’Antioco per la costruzione del ponte. Arrivata qui qualcuno le disse che il ponte era stato già ultimato e allora Lucia, arrabbiata, scagliò la pietra in terra.
Guidiamo poi verso il grande serbatoio dell’acqua, visibile da tutto il territorio circostante. Qui era il primo insediamento del paese, di cui non rimane più nulla. Sparsi qua e là qualche rudere in ladiri, e nei campi ancora qualche menhir di dimensione notevole. Anche qui come ormai ho notato in tutta questa zona, ci sono tantissimi ulivi secolari.
La prossima tappa è la bella chiesetta campestre di Is Grazias. All’interno una bellissima statua in legno della Madonna, mentre all’esterno, oltre a casette molto antiche, ci sono molti ricoveri di animali, soprattutto maiali, che razzolano tra resti di pietre usati come abbeveratoi che hanno un ché di antico! Concludiamo il giro guidando verso il lago di Monte Pranu, già visitato nella tappa di Tratalias, ma questa volta ci arriviamo dall’altra parte, un territorio molto aspro, che in questa giornata grigia dà proprio un senso di desolazione.
Sulla via del ritorno Roberto si ferma su una collina da dove possiamo ammirare un bellissimo panorama. Su tutte queste cime ci sono tracce di nuraghi, strategicamente posizionati, anche se di molti non ne rimane più traccia, mentre altri sono nascosti dalla vegetazione e aspettano di essere scavati. Rientrati in paese Roberto mi mostra i resti di un nuraghe, proprio dentro il paese. Rimane solo la base e si pensa che fosse stato abbandonato in fase di costruzione, forse perché non più utile.
FRAMMENTI SONORI
BREVI NOVELLE SARDE
Roberto mi chiama qualche giorno dopo per farmi qualche domanda sul mio progetto da poter pubblicare in una rivista del Sulcis-Iglesiente. Tra le varie una è ‘cosa ti ha colpito di più del Sulcis?’
È vero, non ho ancora completato tutti i paesi, ma me ne mancano pochi e mi son già fatto una chiara idea. E rispondo in maniera un po’ provocatoria. Non conoscevo bene il Sulcis, se non i luoghi più noti, Sant’Antioco, Carbonia, Porto Pino e forse basta. Dopo questa decina di giorni mi son reso conto della ricchezza e della diversità di questo territorio. Il mare, con posti incantevoli, la montagna, con boschi magici, le miniere, le grotte, gli alberi centenari, l’archeologia, molta nota, molta, moltissima ignota, tutta da scavare, le attività sportive, kitesurf, ippica. Non credo di aver passato un territorio così finora, forse l’Oristanese benché non abbia ricordi o conoscenze di grotte e miniere. Ebbene come sia possibile che un territorio così possa essere storicamente uno dei più poveri della Sardegna o dell’Italia (o almeno così si dice)? Dunque quello che mi colpisce è si la ricchezza e diversità ma anche tutto il non realizzato e la difficoltà a imporsi come fiore all’occhiello del Mediterraneo. Perché questa parte di Sardegna non è un’attrazione mondiale che dà lavoro a tutti i suoi abitanti? Ha tutte le carte per esserlo. Questa è la mia provocazione. Dipende solo dalla mancanza di fondi stanziati a livello statale, regionale (ormai mi è chiaro che i comuni da soli non ce la possono fare)? O dalla volontà (o non volontà) della gente? O è una maledizione nuragica? Food for thought, cibo per la mente.