Nuraminis

363/377: Nuraminis

ISPIRAZIONE

Nuraminis
Scorcio paesano

Quanta gente, quanti nomi da ricordare (Elisa, Francesca, Katiuscia, quelli della Pro Loco, Gigliola, Angelo, Luigi, Ferruccio, Lello, Davide), tutti a disposizione per me.

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La chiesa parrocchiale di San Pietro

E dunque si comincia il giro del paese: scorci urbani, un portico che unisce due case, la pietra calcarea bianca, la chiesa parrocchiale di San Pietro, epitaffi su pietre arrotondate dal tempo, tombe del Cinquecento sotto i pavimenti, un retablo del 1628, un organo antico, la via crucis in bronzo dello scultore Argiolas di Dolianova, la chiesetta della Misericordia.

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Antico lavatoio

E poi il parco comunale, il lavatoio degli anni Trenta, la fonte Is Muracesus, un murale di Tellas presso il campo sportivo dove una ragazza si allena.

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Al campo sportivo

E poi tanta archeologia: scavi in un sito romano, la monumentale tomba bizantina alla frazione di Villagreca, il vecchio villaggio medioevale di Siuttas, il protonuraghe Sa Corona.

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Tracce archeologiche a Sa Corona

È un miracolo che riesca a fare un salto all’anagrafe del comune dove trovo l’atto di nascita di mia nonna materna Margherita, nata qui quasi per caso negli anni d’insegnamento della mamma Pietrina, trasferitasi qui da Gergei.

Al tramonto guardo la costellazione di paesi del Campidano dalle colline calcaree nei dintorni, antichi atolli coralliferi: le luci naturali del tramonto e quelle artificiali si confondono in mille sfumature.

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Bordo calcareo a Sa Corona

 

FRAMMENTI SONORI

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BREVI NOVELLE SARDE

Giampaolo Salice, docente di Storia moderna all’Università di Cagliari, racconta la sua visione di Nuraminis, il suo paese:

“Il mio primo vero sguardo su Nuraminis me l’ha regalato un pastore. Era mio nonno. Lo chiamavano Maximinu, perché era il più piccolo della sua famiglia.

Un giorno venne a prendermi all’uscita di scuola. Avevo undici anni. Mi portò sulla collina più alta del paese, che i nuraminesi chiamano impropriamente Su Padru (il prato). Tirò fuori dalla bisaccia una scatoletta di sardine, il pane, due pomodori. Mangiammo seduti in cima alla collina, in silenzio. Il vento scuoteva l’erba alta, più a valle verso occidente il grano ancora verde formava onde su onde.

Davanti a noi, ai nostri piedi, c’era Nuraminis, come mai l’avevo vista. Il paese mi sembrava allo stesso tempo familiare e sconosciuto, vicino e lontano, piccolo e grande. Non riuscivo a capire perché case e strade fino ad allora familiari e scontate, potessero improvvisamente apparirmi ignote e misteriose.

L’abitato non era grande, ma la terra tutta intorno sì, arrivava fino alla linea dell’orizzonte. Tutto quello spazio che stringevo per la prima volta in un unico sguardo era nostro. Eravamo noi.”

Il racconto continua QUI.