Gonnostramatza

324/377: Gonnostramatza

ISPIRAZIONE

Gonnostramatza
Vecchi portali in centro storico

Una manciata di chilometri separano Gonnoscodina da Gonnostramatza. E oggi completo la quadriade di paesi col prefisso Gonnos– (gli altri sono Gonnosfanadiga e Gonnosnò…anche se poi c’è anche Gonnesa che suona molto simile).

Sulle origini del prefisso ci sono più interpretazioni: una è quella del significato di “collina”, e tutti questi paesi in effetti sorgono su colline, mentre l’altra lo fa derivare dal greco “ghenos” ovvero “origine, stirpe, parentela” ed estendendo il concetto, “paese”.

Nel paese del tamericio (su tramatzu), incastonato fra collinette rocciose, mi accolgono in Municipio il sindaco Alessio con l’assessora Ilenia e Fabiana, una giovane artista locale. Iniziamo subito la passeggiata tra le vie di questo paese diviso in due rioni dal Rio Mannu, il più antico e grande “su xinau mannu” e il più piccolo “su xiadeddu”.

Gonnostramatza
Allestimento al Museo Turcus e Morus

Superato il bel murale dell’artista messicano Israel Zzepda (che ho potuto ammirare anche a Solarussa) arriviamo all’edificio dell’ex Monte Granatico che ospita il museo multimediale Turcus e Morus che racconta un millennio di invasioni barbaresche in Sardegna.

L’allestimento è moderno e interessantissimo, e racconta non solo le invasioni di temibili pirati quali il Barbarossa, la salvaguardia dei mari di Andrea Doria, la vita di Solimano il Magnifico, ma racconta delle le torri costiere di difesa, dei villaggi scomparsi, e di tanti avvenimenti storici raccontati direttamente dai personaggi che prendono vita nelle ricostruzioni multimediali.

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Esposizione di antiche ceramiche al Museo Turcus e Morus

Qui si trovano anche importanti reperti e oggetti: un’epigrafe di 500 anni che ricorda l’invasione di Barbarossa, il retablo dell’Annunciazione di Lorenzo Cavaro, del 1501 solitamente custodito nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo ora in fase di ristrutturazione e proveniente dalla chiesa di Serzela, un villaggio ripetutamente attaccato dai mori e poi scomparso. E ancora moltissimi reperti di ceramiche provenienti da Serzela, con numerose e coloratissime tipologie provenienti da tutto il Mediterraneo.

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Il Rio Mannu

Usciti dal museo visitiamo la vicina biblioteca comunale, nell’ex sede del Municipio proprio a ridosso del fiume che taglia in due il paese. Riprendiamo poi la passeggiata tra le vie del paese, dove, tra un po’ di edilizia moderna, spuntano fuori bellissimi portali, suggestivi scorci del passato come l’ex asilo, e vecchie case che alternano roccia a mattoni in fango.

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Il portone del vecchio asilo

Risaliamo fino alla zona alta del paese, ai piedi collina di Su Cuccaioni, da cui si ammirano i tetti e il paesaggio circostante, e discendiamo verso il Parco Donna Caterina, una piazza così chiamata in onore della proprietaria di una casa un tempo esistente in questo spazio e poi abbattuta. Oggi qui si tengono manifestazioni ed eventi comunitari.

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Vecchio cartello del Touring Club Italiano

Passato il bellissimo cartello “vintage” del Touring Club Italiano (sono davvero pochi quelli rimasti in Sardegna!) costeggiamo la chiesetta di Sant’Antonio Abate e rientriamo verso la piazza dove troneggia la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo, di origini cinquecentesche e al momento in fase di ristrutturazione.

Il pranzo si svolge in Municipio con tutto il personale del Comune per celebrare la pensione del vigile Alessio, in un’atmosfera gioiosa. Nel pomeriggio visitiamo il territorio circostante il paese. Ci rechiamo nella zona dove un tempo si trovava il villaggio di Serzela, sorto su un precedente insediamento nuragico.

Qui sono stati ritrovati importanti reperti di ogni periodo, corredi funerari e soprattutto una corona d’oro che si dice essere una delle più antiche di tutta Europa. Qui vicino esistono anche i resti di due strade che conducevano a Serzela.

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La chiesa di San Paolo a Serzela

Concludiamo le visite alla chiesa campestre di San Paolo, unico edificio rimasto di Serzela e che un tempo custodiva il retablo di Cavaro visto stamattina al museo, e che oggi custodisce un’iscrizione in sardo che si riferisce alla distruzione del borgo di Uras da parte dei Turchi e dei Mori, guidati dal pirata Barbarossa.

Camminiamo intorno alla chiesa, costeggiando campi arati proprio dove un tempo si trovavano le case di Serzela. Sono curioso. Entro in un campo e affondo le mani tra le zolle, smuovendo terra. Cocci di ceramiche vengono alla luce. Molte, troppe. Di tutti i colori e probabilmente di varie epoche e provenienze geografiche. Purtroppo devono stare qui.

Alessio mi dice che pochi giorni fa proprio a Gonnostramatza si è svolta la quarta edizione dell’Archeofestival, ne quale si sono presentati i risultati del Gonnostramatza Project, un progetto atto a ricostruire la vita in Marmilla tra la fine dell’età del Rame e l’età del Bronzo tramite l’analisi di reperti archeologici, e sensibilizzare le popolazioni sull’immenso e prezioso patrimonio del territorio.

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Opera di Fabiana Sebis

La serata finisce al bar dove ci raggiunge anche Cristina, una studentessa di archeologia all’Università di Cagliari. Si parla di archeologia, del cammino spirituale di San Saturnino che passa anche di qui, e di arte. In una sala del bar infatti sono esposte una serie di opere grafiche di Fabiana, e tra le tante mi piace quella che rappresenta una donna dalle forme giunoniche, con una maschera stilizzata del “boe” di Ottana, che suona un contrabbasso e, nelle parole di Fabiana “nel compiere il gesto con l’archetto genera un’esplosione di musica e libertà”.

 

FRAMMENTI SONORI

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BREVI NOVELLE SARDE

Si è fatto tardi. Usciti dal bar Fabiana ci porta a vedere due murales da lei realizzati, i cui colori risplendono illuminati dai fari della nostra automobile. È ora di rientrare all’agriturismo di Michele Cuscusa, in località Genna Figu, a ridosso di quella che è chiamata Sa Costa Manna, il ripido bordo delle alte colline al confine col territorio di Collinas.

Michele mi accoglie e mi offre prodotti genuini della sua azienda agricola che produce formaggio e anche vino. Ma soprattutto Michele mi racconta delle esperienze che altre persone hanno vissuto nella sua azienda. Per esempio quando qui chiese di lavorare un ragazzo con problemi psico-fisici. Ogni giorno aiutava in tutto quello che poteva nelle svariate attività.

Oppure di una ragazza peruviana venuta qui per fare esperienza, proprio durante la protesta dei pastori per il basso costo del latte a inizio 2019. Il suo sogno era quello di portare la pecora sarda in Perù, dove gli animali vengono seguiti dalle donne. Sembra che la ragazza avesse avuto già una simile esperienza, ma negativa, mentre qui sembrava felicissima, tutti i giorni aiutava nella produzione di formaggio e accudiva gli animali.

Oggi invece sono fortunato a conoscere Maho, una ragazza giapponese al secondo anno di università che ha preso un anno sabbatico per fare un’esperienza antropologica. Quando le chiedo come sia finita dal Giappone a Gonnostramatza, Maho mi dice che tempo fa, in classe studiarono come affrontare il problema della sovrappopolazione di animali selvatici che hanno in Giappone. Hanno dunque affrontato il tema della caccia e del consumo di carne, e hanno sperimentato e imparato persino a fare salsicce di cinghiale.

Durante questo periodo un cuoco italiano era in Giappone per promuovere la cucina italiana a base di selvaggina. Maho ha avuto il desiderio di trovare un luogo in cui fare esperienza in Italia. Ha trovato l’azienda di Michele grazie al contatto con Tomoko Fujita una signora giapponese che ha pubblicato un libro di cucina sarda.

Dunque Maho è qui per un mese,  tutti i giorni segue il lavoro di Michele, fare il  formaggio e accudire pecore e capre, e inoltre si dedica all’accoglienza degli ospiti (come me!) nell’agriturismo. Appena arrivata Maho non capiva l’italiano, e come un bambino ha iniziato a seguire istruzioni gestuali. Pian piano ha imparato le parole base, sia in italiano che in sardo, ma principalmente sta imparando senza grosse spiegazioni, semplicemente osservando. In questo mese Maho si sta rendendo conto che la Sardegna è un luogo assai diverso dall’Italia che s’immaginava, e ha iniziato a osservare anche tradizioni e cultura, che le saranno certamente utili nei suoi futuri studi di antropologia.