282/377: Villa Sant’Antonio
ISPIRAZIONE
Uscito da Mogorella, dopo una breve salita, scendo in un territorio che non conoscevo e che mi stupirà per la quantità di siti archeologici impressionanti.
Mi accolgono Roberto e Ilaria, che con i figli Davide e Marta mi ospiteranno nella loro casa, una bellissima e antica abitazione ristrutturata, con un grandissimo cortile.
Sistemata bici e bagagli ci dirigiamo al comune, dove il Sindaco Fabiano e l’Assessore alla cultura Arianna mi ricevono per un saluto istituzionale, e i ragazzi del servizio civile Alessandro, Iuri e Daniele mi attendono per accompagnarci a fare un giro del paese.
Villa Sant’Antonio fino al 1985 si chiamava Sant’Antonio Ruinas e fu per un periodo frazione di Ruinas. La maggior parte delle case sono in pietra trachitica, molte delle quali con degli antichi portali. Arriviamo alla chiesa parrochiale di Sant’Antonio Abate, di antica costruzione poi rinnovata. Si dice che all’interno esistesse una fonte d’acqua, chiamata Funtana Cuperta, forse in tempi nuragici un pozzo sacro.
Ma è solo dopo pranzo che mi aspetta un vero tour nella preistoria! Roberto mi conduce attraverso una serie di siti archeologici, e tra l’uno e l’altro non faccio in tempo a riprendermi che quello successivo è ancora più impressionante.
Poco fuori dal paese, in un terreno brullo, una misteriosa forma scavata nella roccia dà inizio al salto nel tempo.
Dopo una camminata sotto il sole pomeridiano arriviamo al menhir di Monti Corru Tundu, pare il più alto della Sardegna, se non d’Italia. Rimango letteralmente a bocca aperta. Ci tratteniamo in questo terreno privato, dove solitamente pascolano le pecore, e, appoggiato a un masso (o betile?) al lato del menhir, improvviso un brano all’ukulele, con Roberto unico spettatore.
Andiamo via, camminando in una strada sulla roccia, completamente scavata da solchi paralleli che mi ricordano quelli nei pressi della necropoli Su Crocifissu Mannu di Porto Torres. Impronte di carri? Ancora non vi è certezza sulla loro origine.
Arriviamo alla necropoli a domus de janas di Is Forrus, suddivisa in tre zone di un grande terreno a forma di anfiteatro nella roccia trachitica. Camminiamo sulla superficie ammirando le varie tombe, e scendiamo fino a una zona dove le aperture si perdono in mezzo alla vegetazione. La vista da questa parte bassa è come quella di un artista al centro di un palco con le gradinate di fronte che si appresta a esibirsi per un pubblico di spiriti antichi.
Percorriamo in macchina una strada di campagna bordeggiata da imponenti e coloratissimi fichi d’India, fino a dei terreni di proprietà della famiglia di Roberto dove, immersi nel verde, si trovano dei menhir sparsi, alcuni in piedi, altri coricati. Non è un caso che tutto questo territorio ha preso il nome di Valle dei Menhir.
Quando andiamo via penso di aver visto già abbastanza, ma Roberto ha serbato la sorpresa per la fine del giro. Arriviamo alla necropoli a domus de janas di Genna Salixi, una collinetta rocciosa tondeggiante sul lato della quale si aprono le tombe. Rimango a guardarla a distanza, come se fosse un’astronave dalla quale, da un momento all’altro, debbano uscire degli astronauti.
Ed effettivamente dalle aperture escono delle persone, visitatori. Uno di loro mi saluta “ciao Sebastiano!”. È Raffaele, esperto genealogista e appassionato di luoghi storici e archeologia, che per caso incontrai in una chiesetta campestre di Bidonì e che poi mi ospitò a Palmas Arborea.
Concludiamo la serata a casa di Tziu Aldo, un anziano conoscitore del territorio, di ogni storia, di ogni aneddoto, ma soprattutto di ogni sito archeologico. Tziu Aldo ha le sue teorie, come molti in Sardegna, che non sempre coincidono con le teorie ufficiali dell’archeologia, e io ascolto come sempre con piacere e interesse, pensando ai momenti della giornata e alle coincidenze, forse dovute all’allineamento dei pianeti oppure merito degli spiriti aleggianti in questo territorio!
FRAMMENTI SONORI
Live al menhir di Monti Corru Tundu
BREVI NOVELLE SARDE
I ragazzi del sevizio civile, Alessandro, Iuri e Daniele, mi raccontano del loro progetto Operazione Comunità, ovvero raccogliere testimonianze dagli anziani del paese sulle usanze e tradizioni del paese, specialmente legate alle feste dei santi. Uno degli anziani che ha contribuito maggiormente è Tziu Aldo, che ha messo a disposizione vecchie foto e perfino pezzi del vecchio abito tradizionale.
Ha contribuito anche Tziu Beppe, 95 anni, che però, come riportano simpaticamente i ragazzi, andava a rilento nei racconti e spesso si soffermava su altre storielle parallele e divagava a lungo.
Le testimonianze riguardano spesso dettagliate informazioni sul come si svolgevano le festività (se diverse da oggi) come quella di Sant’Antonio Abate, di San Giovanni Bosco, e specialmente quella di Santa Maria Goretti, una festa antica che si era persa e che è stata ripresa grazie al lavoro di signora Teresina, che ha ricreato un gruppo di persone appassionate.
Roberto e Ilaria, come tante persone che ho conosciuto nel mio viaggio, sono appassionati e amanti del proprio territorio, e si dedicano a valorizzarne le bellezze tramite eventi artistici con la loro associazione Boghes.
Tra questi eventi voglio annoverarne due:
– Geofagia. Collettività divorante. “Mangiare la terra all’ombra del menhir di Monti Corru Tundu con tavolo e sedie, piatti da portata e magari calici di vino rosso, in uno scenario dove il fuoco ci riconnette al senso profondo della rinascita della luce, potrebbe rientrare in una rivitalizzazione del gesto non duale, primordiale”. QUI per vedere e saperne di più.
– Ierogamos. Hieròs gámos (dal greco ιερογαμία, ἱερὸς γάμος, «matrimonio sacro») rappresenta un rito di sacra unione tra un dio e una dea. In una delle Passeggiate ArTeologiche che uniscono arte e archeologia, organizzata da Boghes nell’equinozio di primavera alla necropoli di Is Forrus, una serie di artisti espongono opere e istallazioni con il tema delle “nozze sacre”. QUI per vedere e saperne di più.