278/377: Siapiccia
ISPIRAZIONE
Dopo una pausa di qualche giorno per andare a suonare in Inghilterra, ho ripreso il viaggio da Oristano, dove lasciai bici e bagagli, e sono arrivato a Siapiccia in tarda serata, accolto dall’assistente sociale Nicoletta che mi conduce al mio alloggio, un’antica casa ristrutturata nel centro del paese, messami gentilmente a disposizione da Giorgio, un dipendente comunale.
Stanotte in piazza ci sono balli e una gara di poesia estemporanea alla quale non vedo l’ora di assistere. Conosco il Sindaco Raimondo e il presidente della Pro Loco Antonino, con i quali ceno ai locali del Monte Granatico.
La mattina dopo sono nelle mani di Antonino e Brunetto che mi portano in giro per il territorio di Siapiccia, piccolo comune quasi attaccato a Siamanna, di cui era frazione e solo dal 1975 è autonomo. Il suo nome significa “la via piccola”, s’ia piccia, forse per il fatto che ai tempi dei romani l’abitato si trovava su una strada secondaria rispetto a quella principale che andava verso Fordongianus.
Guidiamo fino a una campagna poco fuori paese dove mi fanno vedere delle strane incisioni rupestri. Il territorio è ricco di evidenze archeologiche, con molti resti di nuraghi, domus de janas, persino un dolmen che si dice venne abbattuto da un pastore.
Ci rechiamo poco fuori paese, alla chiesa campestre della Madonna del Rimedio, particolare per vari motivi. La chiesa ha l’ingresso dalla parte opposta della facciata principale sul cui lato ora sta l’altare. La leggenda dice che fu un prete a decidere di mettere l’altare su questo lato e che, a causa di questo fatto, un giorno all’esterno si alzò un vento furibondo che fece volare un gazebo a abbatté una palma. Inoltre la statua della Madonna è una delle poche che la raffigura incinta.
Tutta la zona è anche ricca di sorgenti d’acqua. Ci rechiamo a Sa conca ‘e s’egua, così chiamata per la forma di una roccia nelle vicinanze (a testa di cavallo). Poi guidiamo fino alle pendici del Monte Grighine. Entriamo nel bosco e passeggiamo tra la vegetazione, ai lati della quale corre un filone di quarzo, talmente imponente che è visibile in lontananza da tutto il circondario. Anche qui scorre molta acqua limpidissima e gelida, sputata fuori da una serie di fontane.
Arriviamo fino al Nuraghe Majore, purtroppo diroccato, ma da quest’altezza il panorama su tutto l’oristanese è impressionante. Poco più giù si trovano i resti di un nuraghe più piccolo, chiamato Nuraxeddu.
Ridiscesi in paese ci fermiamo a casa di Antonino, dove mi mostra tutta una serie di oggetti d’antiquariato collezionati negli anni, ben disposti in vetrine, tra i quali osservo anche qualche bel fossile e minerale. E non solo. Antonino colleziona anche vecchi attrezzi dei mestieri di una volta, quelli che vedo spesso nei musei etnografici, per preservarne la loro memoria nel tempo.
FRAMMENTI SONORI
BREVI NOVELLE SARDE
La piazza del paese è addobbata a festa. Su un lato si trova uno dei bar più retrò che mi è capitato di trovare nel viaggio. Entrati per un aperitivo, prima che inizia la gara di poesia improvvisata, sembra di fare un balzo nel passato. Oltre ai tavoli e sedie in formica, e al mitico biliardino, si trova, all’interno, una vecchia cabina telefonica, con tanto di telefono. Pare che qui, fino a qualche anno fa, il caffè si facesse ancora con le caffettiere e che la macchina sia arrivata solo di recente.
Una voce che conosco mi saluta. È Giuseppe Porcu, con la cui famiglia trascorsi la mia giornata a Irgoli, e che è qui stasera per la gara di poesia improvvisata, insieme a Bruno Agus. Dopo i balli sardi a suon di organetto, i cantadores salgono sul palco e io mi accomodo tra il pubblico.
Inizia la gara. La mia conoscenza e comprensione del sardo non è buona, ma tuttavia riesco a capire la maggior parte dei versi. Rimango incollato alla sedia per un po’, assolutamente rapito dall’abilità di creare versi e rime all’istante, a difesa del proprio argomento. E finalmente aggiungo un tassello importante alle tradizioni che ho incontrato durante il viaggio.
La gara poetica è paragonabile a una di quelle jam session agguerrite che avvenivano in certi jazz club americani (e ancora avvengono un po’ dappertutto), dove il solista deve improvvisare le sue frasi musicali su un canovaccio prestabilito, e a turno con gli altri strumentisti, si “duella” a suon di frasi sempre più ardite.
La gara poetica ha origini antichissime. La poesia non si scriveva, ma avveniva a bolu, cioè al volo, improvvisando sul momento. Spesso i più esperti erano pastori o agricoltori. È solo il 15 settembre 1896 nella centrale piazza Cantareddu di Ozieri, che la prima gara poetica venne per la prima volta portata su un palco su iniziativa di Antonio Cubeddu, abilissimo poeta ozierese.
Oggi non rimango per tutta la gara, che si protrae per ore, e il giorno dopo ricevo la telefonata di Giuseppe, che si scusa per non essere stato in piena forma, e per non avermi potuto salutare. Speriamo entrambi di poterci rivedere presto, magari in occasione di un’altra gara.