270/377: Busachi
ISPIRAZIONE
L’estate sta finendo. Stamattina un temporale violentissimo mi impedisce di partire. Più tardi sul giornale leggo che in Sardegna sono caduti 14000 fulmini in una giornata, il record in tutta Europa. Dunque attendo che smetta di piovere in Municipio, in compagnia del Sindaco di Ula Tirso Ovidio, ma a un certo punto, visto che la pioggia non smette, decido di partire comunque.
Per fortuna la strada è breve e arrivo in fretta a Busachi dove sarò ospite a casa di Francesco e Antonietta. Una volta arrivato mi cambio dagli indumenti bagnati, nonostante l’attrezzatura impermeabile, e mi reco in Municipio dove i ragazzi del Servizio Civile, Piera, Sara, Francesco, e Oriana si sono messi a disposizione per farmi visitare il paese.
Nell’aula consiliare del municipio si trovano delle copie di quadri di Filippo Figari, vissuto qui qualche anno, che ritraggono delle donne con l’abito tradizionale. Busachi è rimasto uno dei pochi paesi della Sardegna dove le donne indossano ancora l’abito tradizionale quotidiano, e quello speciale della domenica per la messa. Dunque oggi spero di riuscire a incontrarne qualcuna.
I ragazzi del Servizio Civile mi portano subito alla vicina chiesa di San Domenico, dall’austera facciata, oggi sconsacrata e sede di una mostra permanente di abiti tradizionali. Gli elementi architettonici interni sono magnifici, le volte, colonne, cappelle e nicchie, e anche l’esposizione degli abiti è molto bella, e fa il giro dello spazio.
Usciti, i ragazzi mi spiegano che Busachi è diviso in tre rioni, ‘e susu (di sopra), ‘e josso (di sotto) e campu majore. Ci avviamo alla parte di sopra, dove si trova il Collegiu. Questo era un monastero dei frati gesuiti, costruito nel Cinquecento. È in ottime condizioni dopo la ristrutturazione, e gli spazi sono molto suggestivi. Ci aggiriamo per il chiostro, nel colonnato, poi all’interno a vedere gli spazi dove vivevano frati novizi e allievi, il refettorio e gli alloggi, costituiti di cellette molto semplici e spartane. Oggi in questi spazi si tengono mostre ed eventi, soprattutto durante la Sagra di Su Succu, il piatto tipico a base di tagliolini, carne e formaggio a base di zafferano.
Riprendiamo le stradine del paese, dove le abitazioni sono tutte di trachite rosa, passiamo accanto alla chiesa parrocchiale di Sant’Antonio, con una bellissima facciata decorata e un alto campanile, e poi ci fermiamo a casa di una signora, perché nel suo giardino si trovano delle domus de janas.
Tzia Chichina ci fa entrare e ci porta nel retro, dove ora c’è il loro orto. In un piccolo costone roccioso, delle scalette scavate nella pietra ci portano all’apertura di una tomba. Tzia chichina racconta che ai tempi della Seconda Guerra Mondiale tutta la famiglia dormiva lì dentro, con quattro materassi. Poi negli anni Sessanta la tomba venne murata e trasformata in un deposito d’acqua per sopperirne la mancanza.
Salutata Tzia Chichina torniamo verso il centro, dove mi viene mostrato uno spazio in cui si trovavano delle vecchie carceri e dove si giustiziavano i condannati all’aperto e in pubblico. Scesi a Busache ‘e josso troviamo la chiesa di San Bernardino, del XVI secolo, dalla facciata ben intonacata, ma con ancora elementi di trachite rosa in vista, un campanile a vela doppio, e una imponente cupola ricoperta di maioliche rosse.
Nel pomeriggio ci rechiamo in campagna, al novenario di Santa Susanna, che non sfigura rispetto ai vicini San Serafino a Ghilarza, Santa Cristina a Paulilatino, o San Salvatore a Cabras, non solo per il vasto villaggio di casette tutt’intorno al quale si accede tramite un portale spagnoleggiante, ma soprattutto per l’antica chiesetta. Al suo ingresso si trovano delle belle decorazioni di ceramica e al suo interno degli affreschi di epoca ottocentesca raffiguranti episodi della vita della santa.
Passeggiamo tra i vicoletti e le casette del villaggio prima di rientrare in paese. Qui saluto i ragazzi del Servizio Civile e incontro Mario che si è reso disponibile per accompagnarmi a visitare il territorio intorno alla diga Eleonora D’Arborea, lo sbarramento del Tirso che ha sostituito la vecchia diga Santa Chiara che ho ammirato ieri a Ula Tirso e che crea il lago Omodeo.
Mario guida fino ai bordi del lago e, dopo aver percorso una ripida strada sterrata, arriviamo proprio sulla sponda poco prima dello sbarramento, le cui dimensioni anche sul lato a monte sono impressionanti. L’acqua in assenza di vento è uno specchio, sulle sponde si trovano tronchi e alberi secchi ancora in piedi, e la mancanza di luce del sole appena tramontato conferisce al luogo un’aria un po’ spettrale.
Procediamo in auto per salire su un’altura e ammirare la diga dall’alto. Arrivati in cima ci mettiamo alla ricerca del villaggio nuragico di Santa Marra, ma non riusciamo a trovarlo per la presenza della vegetazione rigogliosa. Saltato un muretto a secco, arrivo fino al bordo dell’altura per fotografare la diga dall’alto. La vista è impressionante e si estende fino all’oristanese, dove posso vedere le acque del golfo e degli stagni di Cabras scintillare all’orizzonte. Ho completato tutta la metà superiore della Sardegna e sto finalmente scendendo verso sud e verso Cagliari dove il mio viaggio si concluderà fra quattro mesi.
FRAMMENTI SONORI
Le donne di Busachi
BREVI NOVELLE SARDE
Ho cercato donne in abito tradizionale per tutta la giornata. Ecco il risultato:
Donna 1. Rientrando dal Collegiu avvistiamo una donna in abito tradizionale che rientra a casa. Ci fermiamo e, mentre i ragazzi la salutano, riesco a farle delle foto. Maria Peppa la quale acconsente a essere fotografata. Gonna nera, camicia bianca, corpetto floreale col retro dai colori blu e viola e cuffietta nera.
Donna 2. Andiamo a casa di Geltrude. La signora ci apre la porta e alla richiesta di poterla fotografare in abito tradizionale mi dice che non si sente bella e “messa bene”, ma che posso certamente fotografare dei dettagli senza riprenderle il viso. Fotografo dunque il bellissimo bottone dorato e ornamentato che le chiude la camicia bianca anch’essa finemente decorata.
Donna 3. Vicina a casa di Francesco e Antonietta abita un’altra Maria Peppa, che pare usi l’abito tradizionale durante il giorno. Andiamo a trovarla e anche lei come l’altra Maria Peppa acconsente a farsi fotografare…questa volta in posa, sul bellissimo portale di casa sua, contornato di trachite rosa. Sulla gonna indossa un grembiule celeste, segno delle faccende domestiche che stava sbrigando poco prima che arrivassi io. Poco distante da casa di Maria Peppa avevo avvistato una bellissima casa nobiliare con un portale sormontato da una lastra in marmo che indica “Casamento del Signor D. Emanuele Oastejon Matarez”, il nobile spagnolo a cui questa casa appartenne. Sotto mia richiesta Maria Peppa si fa fotografare anche di fronte a questo bellissimo portone, e mentre va via verso casa sua fotografo (a tradimento) anche il retro dell’abito, questa volta dal corpetto interamente rosso.
Donna 4. Giovannangela è la nonna di Oriana, una delle ragazze del Servizio Civile. Nonostante la mattina non stesse indossando l’abito tradizionale, accetta di cambiarsi e ci fa tornare nel pomeriggio. Anche lei è felice di mettersi in posa accanto alle piante dell’ingresso di casa. Poi ci porta dentro e ci prepara il caffè. Chiede scusa per averci fatto tornare e ci spiega che ormai sono poche le donne che indossano l’abito tutti i giorni, specialmente d’estate. Anche lei, sopra la gonna, porta un grembiule, bianco, il corpetto è scuro con disegni floreali colorati e anche la cuffietta è nera con disegni colorati. Mi vuole anche mostrare una delle sue gonne. La srotola su un tavolo e mi mostra con orgoglio la meraviglia delle ornamentazioni, bande floreali colorate, filo intessuto con decorazioni finissime, color oro, color bronzo. Rimango estasiato dalla bellezza di questi manufatti, che dal vivo hanno un effetto completaente diverso da quello che un’immagine su una pagina di libro può trasmettere.