233/377: Mara
ISPIRAZIONE
Oggi tragitto breve e tutto in discesa. Arrivo in Comune dove mi riceve il Sindaco Salvatore che mi ha organizzato la mattinata con i ragazzi del servizio civile, Federica, Federica (bis), Romina, Paride e Mattia.
Prendiamo due macchine per raggiungere i siti fuori dal paese. Tutta la zona è stata interessata in ere geologiche passate da vulcanesimo di vario tipo. È dunque ricco di alture, ex vulcani, colate laviche, con i calcari del Miocene che affiorano qua e là. Ed è proprio qui che ci dirigiamo, nella zona di Bonu Ighinu dove si trovano una serie di cavità carsiche, un tempo anche abitate dall’uomo. Dopo aver percorso strade di campagna e aver parcheggiato, camminiamo per un po’ a piedi e arriviamo alle Grotte di Tintirrioulu e di Filiestru. Qui si trova un sistema carsico lunghissimo ma noi riusciamo a vedere solo gli ingressi. Dall’altra parte del versante del Monte Traessu al confine con Cossoine si vede una grande cava di caolino, con il colore bianco-rosa ben visibile, che da poco ha ripreso le attività.
Proseguiamo il giro, visitando il Santuario di Nostra Signora di Bonu Ighinu, una bella chiesa del Seicento, circondata da cumbessias moderne, resti di preesistenti edifici, con una bella scalinata frontale in stile rococo. All’interno della chiesa si trova un bell’altare ligneo con la statua della Madonna, la quale secondo la leggenda apparve per mettere pace tra i paesi vicini (da cui il nome). Le malelingue dicono che la Madonna si fece pesantissima quando qualche abitante dei paesi vicini che se la contendevano cercò di rubarla da qui.
Dalla scalinata si gode di un’ottima vista sul territorio, inclusa la collinetta detta di Bonvehí, che vedevo chiaramente anche da Monteleone Rocca Doria e ieri da Pozzomaggiore (dove nasce il caffè Bonvey che da questa collinetta prende il nome). Un tempo in cima alla collinetta si trovava un castello dei Doria, ora tutto ruderi.
Riprendiamo il giro, costeggiando alture vulcaniche, dove riconosco le tipiche forme colonnari dei basalti, molto rare e già viste a Guspini, e poi due grandi ‘caldere’, vere e proprie bocche di vulcano, una dei quali è il Monte Larenta. Arriviamo ad un’altura poco fuori il paese, dove si trovano i resti del nuraghe Coladorzos, immersi in un bosco di piante secolari. Da qui si possono distintamente vedere i tre paesi vicini, Pozzomaggiore in alto a sinistra, Mara qui sotto e Padria poco più in alto a destra.
Rientrati in paese, dopo un aperitivo al bar insieme a Sara, la vigilessa del paese, i ragazzi mi portano a vedere il Museo della Civiltà Contadina, in un bell’edificio storico ristrutturato. Qui posso ammirare una serie di ambienti ricostruiti con gli arredi e oggetti di una volta, gentilmente donati dagli abitanti del paese, insieme a tutta una serie di attrezzi dei vecchi mestieri, i più grossi dei quali (anche una enorme trebbiatrice) custoditi nell’ampio giardino.
Rientriamo in Comune per salutare il Sindaco Salvatore, i ragazzi, e la vigilessa in aula consiliare, dove riesco anche ad improvvisare due note con l’ukulele, prima di ritirarmi al b&b Antas prenotatomi da Salvatore. Qui mangio, riposo e lavoro un bel po’ prima che le ore calde passino e possa farmi un giro del paese.
La sera mi faccio un giro in bicicletta per visitare il paese. Visito le chiese, ormai d’obbligo come il caffè all’arrivo, la settecentesca parrocchiale di San Giovanni battista, e la più piccola Santa Croce. Poi percorro le stradine del centro, e seguendone una, ricca di palazzine eleganti, arrivo ad un vicolo cieco che finisce con una ringhiera panoramica sulla vallata, bellissima. Da qui proseguo passando la piazzetta dedicata a Padre Pio, i cui edifici sono tutti affrescati di murales, e arrivo ad un’altra strada che finisce su un bel terrapieno panoramico.
Torno alla piazzetta principale, prendo un caffè al bar (sarà Caffè Bonvey?), e proprio qui dietro noto una piazzetta nascosta piena di alberi che le fanno ombra e contornata da case con murales. Rientro al b&b, lavoro come un matto di fronte alla finestra che si affaccia sulla stessa vallata che vedevo prima, con Padria di fronte che mi aspetta domani.
FRAMMENTI SONORI
Al buon vicinato, contro ogni campanilismo.
BREVI NOVELLE SARDE
“Campanilismo s. m. [der. di campanile]. – Attaccamento esagerato e gretto alle tradizioni e agli usi della propria città” da Enciclopedia Treccani.
L’incontro con il campanilismo è avvenuto molto presto in questo viaggio. Ho sorriso e ci ho anche scherzato su al principio, ma oggi mi rendo conto di averlo fatto in maniera incosciente, l’incoscienza di colui che non conosce a fondo problemi, cause e conseguenze. Le diatribe per la proprietà di una chiesa, di un nuraghe, di una cascata, di una scultura di roccia, sono talmente tante che alla fine ho smesso di contarle. Le statue di santi, rubate da un comune all’altro, hanno fatto più danni che mai. Immancabile la battuta del non bere acqua nel paese vicino perché notoriamente fa diventar scemi (sentita in moltissimi paesi).
Già a questo punto del viaggio sento quotidianamente storielle di campanilismo che ormai non mi fanno più sorridere. Specialmente da quando di recente un bambino di circa dieci anni mi ha chiesto dove dovessi andare l’indomani. “Vado a X (paese vicino)” e lui, con voce ed espressione rassomiglianti più a quelle di un adulto che non a quelle di un bambino: “non ci andare ad X, son cattivi, continua dritto e vai ad Y”. Ecco da quel momento ho perso il sorriso nei confronti di tutte quelle battute, spesso bonarie, nei confronti del paese accanto. Come può un bambino di dieci anni assumere già un tale atteggiamento per il suo vicino? Un atteggiamento che da innocuo adesso, negli anni può facilmente sconfinare in qualcosa di più, come dimostrano i tantissimi episodi, tutt’altro che innocui, legati a diatribe tra paesi vicini.
Il campanilismo non nasce certamente in Sardegna, ma è diffuso nel resto d’Italia (si pensi alle storiche rivalità tra Palermo e Catania, tra Pisa e Livorno, tra Brescia e Bergamo, tra Parma e Reggio Emilia, tra Verona e Vicenza, e tanti altri). E poi il campanilismo che si estende dalla nazione nei confronti di un’altra nazione.
Mi viene in mente la traduzione inglese di campanilismo: “parochialism”, parrocchialismo, sempre in tema di campanile. Il Cambridge Dictionary però ne dà una definizione leggermente diversa da quella italiana, un po’ più ampia: “the quality of showing interest only in a narrow range of matters, especially those that directly affect yourself, your town, or your country”. Il dimostrare interesse solamente in un campo limitato di questioni, specialmente quelle che riguardano direttamente se stessi, la propria città o la propria nazione”. Ecco, questa definizione la preferisco perché mette in luce l’aspetto di chiusura mentale e di egoismo che spesso si nasconde dietro un atteggiamento campanilistico, e che in Sardegna ho l’impressione sia la causa di una serie di problemi piccoli e grandi.